mercoledì 13 gennaio 2010

Hostel of the sun, buona la prima

Quando ho aperto questo blog, non avevo in mente una strategia; non avevo un piano. E' cresciuto da sè, io l'ho solo seguito. Il blog nasce da un'idea, quella dell'addio, che ho iniziato ad accarezzare nei miei primi interventi. In questa che potrei definire l'adolescenza del "valzer degli addii", mi trovo costretta ad adeguarmi alla direzione che ha deciso di prendere questo blog, un pò come si asseconda un quindicenne che ha deciso di imparare a suonare la chitarra elettrica. Inizia qui un diario delle mie notti di Receptionist all'ostello del sole (Hostel of the sun). I miei turni iniziano alle 18.00 e finiscono alle 8 del mattino successivo, e le storie che ascolto in queste serate meritano di essere raccolte in un luogo più ordinato che non sia la mia frenetica seppur fedele memoria.
L'"ostello del sole" ospita quotidianamente viaggiatori di ogni sorta e provenienza, e l'addio che traspira dalle sue pareti è una versione molto mitigata e dolce di questo saluto. Quando si ripete un gesto all'inverosimile, questo perde di potenza, e si addomestica. Allo stesso modo, in questo luogo si pratica un addio quotidiano, addio alla città che ci ha ospitati per qualche giorno, addio ai volti con cui ho condiviso i pasti, addio a un paese che mi lascio a ore di aereo di distanza. Ma è un addio terapeutico, chi viaggia lo conosce bene; è l'addio che promette il ritorno, e che giura la fedeltà del ricordo. E' il sorriso nostalgico della partenza.
Stanotte, mentre preparavo le macchine del caffè per la colazione di domattina, ho iniziato a conversare con il più interessante dei viaggiatori che ho incontrato fin'ora. E' un ragazzo israeliano, i cui genitori sono emigrati in Argentina durante la seconda guerra mondiale, cresciuto in Texas. Se lo guardi, se ci parli, ti sembra un uomo di più di vent'anni; è da un mese che viaggia da solo per l'Europa. Invece di anni ne ha diciannove, ma già è al terzo anno di ingegneria elettronica, e lavora per la Intel di Austin. Non male. Mi dice di essere la risultante del misto tra Israele, Stati Uniti e Argentina, e sento che è così, perchè nella gentilezza con cui mi parla ha conservato il rispetto che gli israeliani sono abituati a dimostrare alle donne; nella sua spontaneità riconosco il tipico senso pratico americano; e in uno sguardo sicuro e caldo ho risentito il sole che abbronza le pianure argentine.
Una delle storie che mi ha raccontato è quella dell'incontro tra i suoi genitori...

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