giovedì 28 gennaio 2010

Walk the line

La sala comune di quest'ostello è piccola, rossa, e il rosso è il mio colore preferito. Il che non ha niente a che fare con quello che sto per dire, almeno che io sappia. Anche le poltroncine sono rosse...
Ora che guardo (visto che è da qui che scrivo)... anche le porte sono rosse... oddio pure il lampadario...
L'ostello questo giovedì sera ospita tanti stranieri. E' la prima volta, da quando ho cominciato a lavorare qui, che siamo al completo. Meglio, mi dico. Così non posso sbagliarmi nel ricopiare il numero dei passaporti quando registro i nuovi arrivati (per qualche motivo, faccio sempre quache errore su quei maledetti registri). Fuori fa freddo, o almeno i criteri bio-metereologici mediterranei che ho ereditato mi comunicano così. Ma a quanto pare i vari Argentini, Australiani, Bulgari e Canadesi che stasera sono in ostello devono aver pensato lo stesso, perchè sono rimasti tutti "a casa". E cosa succede in un ostello come questo, in una sera invernale napoletana, freddissima quindi, gelida come non avete nemmeno idea, che se non hai una barba non puoi mettere nemmeno il viso fuori dalla finestra? In un ostello come questo, che ordinario non è, per quanto mi riguarda, stavo combattendo contro il tanto noto quanto vero stereotipo dell'italiano ritardatario. Il mio "capo".... oddio, insomma, Luca... che quando guida la vespa indossa un cappello verde, un casco rosa e lo sguardo del bradipo dell'Era Glaciale (il che però non vuol dire che tu non sia attraente, Luca!)... ecco, Luca, mi aveva dato un compito, mentre era in Irlanda al raduno degli ostelli... (ma poi che avrai fatto, Luca, a questo ritrovo, sotto il cielo d'Irlanda...?) Il mio compito per le vacanze (sue, non mie) era tradurre in italiano il sito dell'ostello (come vi ho detto, questo posto non è molto normale... tipo, abbiamo il sito solo in inglese. Se arriva un italiano che non sa parlare inglese, non lo vogliamo, a meno che non sia di Torino con origini sicialiane e abbia una chitarra. In quel caso, se lava i piatti può restare.) Insomma, morale, Luca torna dall'Irlanda e mi fa: avevo chiesto a te, a uno spagnolo e a un tedesco di tradurre il sito in italiano, spagnolo e tedesco. Tu e lo spagnolo avete detto "Sì sì, in un paio di giorni te lo faccio!" E' passata una settimana e ancora niente. Il tedesco non mi ha risposto, e dopo 2 giorni ha tradotto tutto." Eccomi dunque, che traduco, e combatto per il diritto dei Latinos di tutto il mondo ad essere considerati alla stregua dei Normanni. E ho appena tradotto questo: "Fermati all’Hostel of The sun per scoprire l’ospitalità di uno dei migliori ostelli d’Europa, famoso per il suo staff caloroso e cordiale, per i servizi offerti e per l’indimenticabile esperienza di viaggio che facciamo vivere ai nostri ospiti" quando un ... mi sa che è danese... mi chiede se ho voglia di vedere il dvd che ha messo su. Ora, geograficamente parlando, se la sala comune la immaginiamo come un quadrato, io e la televisione siamo i lati non adiacenti, e nel mezzo ci stanno i divani, le poltrone e i cuscini (ora...quanti di voi hanno indovinato che NON ho preso una facoltà scientifica, e nemmeno pseudo-scientifica, e quanti pensano invece che HO preso una pasticca stasera e mi trovo in una quarta o quinta dimensione?)
Guardo lo schermo, ascolto la musica... e riconosco il film: è quello su Jhonny Cash, Walk the line. Mi piace da morire quel film, la musica, la storia d'amore, in più non lo vedo da un sacco e stamattina ho fatto il mio primo esame della specialistica (l'ultima era per controllare il funzionamento delle vostre funzioni causa-effetto). Good choice, gli faccio. Tempo 10 minuti, che il divano e le poltroncine sono tutte piene; tutti in silenzio, aspettano. Ma che aspettano, mi dico. Ah... ecco, aspettavano l'Argentino che stava in cucina a fare non so cosa. Le candesi sono andate a chiamarlo... che beffa per la mia battaglia contro il pregiudizio...(amico...ma io combattevo pure per te!...)
Arriva l'argentino, e il film inizia. Prima spengono la luce della sala comune (quella del lampione rosso)... fa molto ritrovo di liceali il sabato sera in un villaggio sperduto di qualche contea americana. Mettici pure il country di Cash, e sei in Texas praticamente. Dopo poco, io pure abbandono la mia postazione e mi piazzo comoda su uno sgabellino (giallo, ma il cuscino è rosso!) e (attenzione!)... spengo pure l'ultima luce che era rimasta accesa, per la serie che se c'era bisogno di rispondere al telefono, dovevo andarmene per tentativi. Però valeva la pena... il movie night era ufficialmente "on".
Così, prima di spegnere tutte le luci e addormentarmi sul divano, posso dire che Walk the line mi piace ancora molto, la musica pure, e che questo giovedì sera napoletano aveva qualcosa di magico. Peccato che io abbia perso la mia battaglia, almeno per stasera.

lunedì 18 gennaio 2010

Genealogia di un amore

Si racconta che in Giappone, alle volte, i fiumi e i laghi diventino incredibilmente pescosi. I pesci sembrano lanciare se stessi fuori dall'acqua e aprire le branchie all'ossigeno. Contemporaneamente, vermi e serpenti, se è inverno, si precipitano fuori dalle tane, lasciando la terra in cui si erano rifugiati per raggiungere il mondo di superficie. Lì all'aperto però muoiono tutti per il freddo eccessivo.

Esistono dei segni che la vita ci fa trovare sulle strade che percorriamo, mentre le percorriamo, che testimoniano l'imminente verificarsi di un evento. Nel presente essi non ci parlano; ma guardandoci indietro, se la nostra memoria li ha conservati, essi ci sveleranno tutta la loro eloquenza. I segni dell'arrivo di un amore sono, tra tutti, quelli più pittoreschi, ma allo stesso tempo i più difficili da individuare, perchè imbrigliati nella rete delle casualità.
Così, nel raccontarmi la storia di come si sono conosciuti i suoi genitori, Ari inizia dal finale...
...e quando mio padre porse la forchetta al gruppo di ragazze nel supermercato, mia madre urlò: "Dan!"...
Partendo da quel grido, la genealogia di questo amore procede all'indietro, per rintracciare le radici che hanno fatto sì che quel grido fosse possibile e i segni che lo annunciarono, silenziosamente, nel passato.
Le ragazze sono le amiche della madre di Ari; sono ebree, appartenenti a famiglie emigrate in Argentina durante la seconda guerra mondiale; e sono in viaggio per l'Europa. Nel preciso istante in cui la madre di Ari grida "Dan!", si trovano all'interno di un supermercato di Gerusalemme. Non conoscono nessuno in quella città, quindi quando una di loro grida il nome del soldato israeliano che raccoglie con gentilezza la forchetta caduta di mano ad un'altra, lo stupore è generale.
Il soldato in divisa è il padre di Ari.

Il mistero di quel grido si svela con un'immagine, quella di due famiglie ebree che nonostante la storia, l'esodo, la tragedia, e l'oceano, tengono vivo il focolare della memoria, e dell'amicizia. La madre di Ari aveva visto fin da bambina le fotografie di Dan, il padre di Ari. L'amicizia di queste due famiglie si alimentava di lettere e fotografie, e qualcosa nella memoria di quella bambina dovette scattare nel memorizzare le immagini di un ragazzo che viveva un continente lontano.
Così, quando nel supermercato di Gerusalemme, un uomo in divisa raccolse una forchetta sfuggita di mano, i segni, le fotografie, le lettere, le parole raccolte dalle conversazioni in famiglia, le discussioni a tavola sul destino degli amici in Israele, le telefonate, la nostalgia, tutto questo ed altro ancora che era accidentalmente appartenuto al passato mostrò il proprio significato. E nel sentirsi chiamare, Dan avvertì la particolare bellezza dell'inspiegabile.
A me, cui questa storia è stata raccontata in una notte di viaggio, l'imprevedibilità con cui la vita rivela i suoi trucchi disseminando segni per le strade delle persone ha fatto pensare al comportamento degli animali, che molto prima degli uomini avvertono l'arrivo di un terremoto, o una calamità naturale. Gli animali improvvisamente assumono attegiamenti inspiegabili, in preda ad un'atipica follia. In quel momento essi, in realtà, sono dei segni. Solo il verificarsi improvviso della calamità naturale rivelerà l'essenza dei loro comportamenti, come dimostra quanto raccontano i guardiani di un parco naturale in Sri Lanka. I guardiaparco riportano che dopo lo Tsunami, non furono trovate carcasse di animale in nessun angolo. Elefanti, antilopi, felini... gli animali dovevano aver sentito ciò che stava per accadere, ed essersi ritirati sulle colline.

mercoledì 13 gennaio 2010

Hostel of the sun, buona la prima

Quando ho aperto questo blog, non avevo in mente una strategia; non avevo un piano. E' cresciuto da sè, io l'ho solo seguito. Il blog nasce da un'idea, quella dell'addio, che ho iniziato ad accarezzare nei miei primi interventi. In questa che potrei definire l'adolescenza del "valzer degli addii", mi trovo costretta ad adeguarmi alla direzione che ha deciso di prendere questo blog, un pò come si asseconda un quindicenne che ha deciso di imparare a suonare la chitarra elettrica. Inizia qui un diario delle mie notti di Receptionist all'ostello del sole (Hostel of the sun). I miei turni iniziano alle 18.00 e finiscono alle 8 del mattino successivo, e le storie che ascolto in queste serate meritano di essere raccolte in un luogo più ordinato che non sia la mia frenetica seppur fedele memoria.
L'"ostello del sole" ospita quotidianamente viaggiatori di ogni sorta e provenienza, e l'addio che traspira dalle sue pareti è una versione molto mitigata e dolce di questo saluto. Quando si ripete un gesto all'inverosimile, questo perde di potenza, e si addomestica. Allo stesso modo, in questo luogo si pratica un addio quotidiano, addio alla città che ci ha ospitati per qualche giorno, addio ai volti con cui ho condiviso i pasti, addio a un paese che mi lascio a ore di aereo di distanza. Ma è un addio terapeutico, chi viaggia lo conosce bene; è l'addio che promette il ritorno, e che giura la fedeltà del ricordo. E' il sorriso nostalgico della partenza.
Stanotte, mentre preparavo le macchine del caffè per la colazione di domattina, ho iniziato a conversare con il più interessante dei viaggiatori che ho incontrato fin'ora. E' un ragazzo israeliano, i cui genitori sono emigrati in Argentina durante la seconda guerra mondiale, cresciuto in Texas. Se lo guardi, se ci parli, ti sembra un uomo di più di vent'anni; è da un mese che viaggia da solo per l'Europa. Invece di anni ne ha diciannove, ma già è al terzo anno di ingegneria elettronica, e lavora per la Intel di Austin. Non male. Mi dice di essere la risultante del misto tra Israele, Stati Uniti e Argentina, e sento che è così, perchè nella gentilezza con cui mi parla ha conservato il rispetto che gli israeliani sono abituati a dimostrare alle donne; nella sua spontaneità riconosco il tipico senso pratico americano; e in uno sguardo sicuro e caldo ho risentito il sole che abbronza le pianure argentine.
Una delle storie che mi ha raccontato è quella dell'incontro tra i suoi genitori...

venerdì 8 gennaio 2010

Il fante e il re

A volte si vivono esperienze molto difficili da descrivere, e si può chiaramente avvertire che le parole che si usano per raccontarle agli altri sono inefficaci. La sensazione che si prova nel pronunciare queste parole è, di solito, la pesantezza; alcuni con una metafora descrivono uno stridio tra i denti. E' quasi scientificamente provato che il tono di voce si abbassa in direzione dello stomaco quando si ricordano i dettagli più intensi.

C'era una volta un re, che viveva in Francia, in un castello circondato interamente dal mare e sorretto da scogli neri dove si abbattevano forti le onde durante le notti d'inverno.
Il re viveva nel castello assieme alla sua servitù, ma non aveva famiglia; aveva solo una figlia, Arianna. Arianna era nata durante una notte di ferragosto in cui il sole e la luna si erano uniti in uno stesso punto del cielo. Per questa strana congiuntura degli astri, la bambina non poteva mai essere sfiorata da mano umana, poiché al minimo tocco, la sua pelle chiara e pallida come la luna si sarebbe gravemente bruciata. La bambina visse per 18 anni nel castello sul mare senza mai mettere piede a terra, circondata dall'amore del re e della servitù, accarezzando solo i gabbiani che andavano ogni giorno a posarsi sul suo balcone. Ma una sera, mentre guardava l'orizzonte piatto in lontananza, il suono di un violino la raggiunse. La musica proveniva da una barca che si era ormeggiata sugli scogli, vicino al castello. A suonarla era un soldato bruno e bellissimo. Illuminata dai raggi della luna, Arianna si avvicinò alla barca del soldato.

Uno dei problemi su cui l'umanità si è più intensamente interrogata nel corso dei secoli è il rapporto che si istaura tra la parola che descrive, e la vita che scorre. L'uomo da sempre ha avvertito tra le due dimensioni una linea d'ombra incolmabile.
In un'epoca storica del tutto particolare, poi, a cavallo tra il '700 e l'800, si è pensato che il linguaggio e la razionalità non fossero in grado di comprendere le profondità dell'animo umano. Altri modi per esperire la vita furono considerati superiori. Il culto dell'arte nacque allora; e tra le arti, fu la musica ad essere considerata la via diretta per l'esperienza dell'Infinito.

Ma anche il re aveva sentito il suono del violino, e accorse presso la barca del soldato un attimo prima della figlia.
"Fante! - urlò - Sei il benvenuto nel mio castello per il tempo di cui le tue vele hanno bisogno. Ma non sfiorare mia figlia per alcun motivo, è questa l'unica legge che devi rispettare."
Il fante rispose al re con un lieve inchino, e con un sorriso si voltò a guardare Arianna. Avvicinandosi a meno di un metro da lei, le porse il suo violino, assieme all'archetto, e con un altro inchino risalì sulla barca, issò le vele, e si allontanò verso l'orizzonte.
Quella stessa notte Arianna suonò lo strumento per la prima volta, e numerose ne trascorsero di notti, bianche, finchè non ci fu nessuno nel regno che sapesse suonare il violino meglio di lei.

Quando non ci fu più nemmeno un accordo che non avesse suonato,
Arianna capì che era momento di andare. Una notte, quando fu sicura di non essere intravista, lasciò il castello. Una sola lacrima le solcò il viso, al ricordo del padre. Mentre si incamminava per la prima volta sulle strade del regno di Francia, Arianna si imbatté in un villaggio in festa. A dei musicisti che suonavano, Arianna chiese il permesso di suonare il violino, e il paese intero cadde nel silenzio più profondo per ascoltare quella musica. Quando ebbe finito, Arianna, alzando lo sguardo, incrociò nella folla quello del bel fante che le aveva regalato il violino. Lui la avvicinò, e come i musicisti presero a suonare le melodie di Arianna, le chiese la mano per una danza. Un attimo solo di esitazione provò lei, nell'avvertire un filo di bruciore sulla mano destra quando toccò quella di lui; e un'ondata di calore le attraversò il corpo quando lui la strinse a sè nella danza. Eppure, la felicità fu tale, che nel danzare stretta al suo fante, il dolore per Arianna divenne un ricordo lontano. Fu sulle ultime note della melodia che stringendola a sè, il fante sentì il calore inondarle completamente il corpo, fino a quando il suono dell'ultimo violino si affievolì, e Arianna si spense tra le sue braccia.

Il mattino seguente, un messaggero fu inviato al re con il compito di comunicargli il destino della figlia.
Il re ascoltò il racconto del messaggero, gli asciugò le lacrime e lo lasciò tornare a terra. Poi, da solo e nel silenzio della servitù, si ritirò nella stanza della figlia. Sul letto, trovò il violino che Arianna gli aveva lasciato, e accanto ad esso, uno spartito su cui era riportata una musica composta da lei. Era una mazurka, dal titolo "Il fante e il re".

Fu così che nacque la Mazurka francese, assieme alla legge, che vige ancora oggi in Franci
a, di ballarla solo di notte, e per le strade delle città. E ancora oggi, chi balla e ama intensamente questa danza, mentre ascolta le sue note, sentirà sulla propria pelle un lieve bruciore, e nell'animo una vertigine acuta, dovuti al ricordo di quell'amore lontano che si consumò in una notte tra un fante e la figlia di un re, e che rivive in ogni notte di Mazurka sulla pelle di chi ascolta e danza la sua musica.